27 marzo 2009

I colpi di stato non passano di moda

Economist Democracy IndexLe ultime tre settimane hanno riportato l'Africa indietro di diversi anni.
Due colpi di stato, due avvicendamenti al potere, nessuna elezione, nessun intervento della comunità internazionale.
Il 2 marzo il presidente della Guinea Bissau Joao Bernardo Vieira è caduto sotto i colpi di alcuni militari che hanno fatto irruzione nella sua villa all'alba.
Il 21 marzo il sindaco di Antananarivo Andry Rajoelina si è autoproclamato presidente del Madagascar giurando di fronte ad una folla radunatasi presso lo stadio della capitale.
Due fatti diversi nello svolgimento (ma anche nella capitale malgascia ci sono stati scontri con oltre 130 vittime) ma che segnalano un deficit di democrazia e di bilanciamento dei poteri in alcuni paesi africani.

Regolamento di conti in Guinea Bissau
Come nei duelli di mafia, dove talvolta i cattivi si eliminano a vicenda, ciò che è successo in Guinea Bissau sembra tratto dalla sceneggiatura di un film. Attentati, esplosioni in città, vendette personali e tradimenti, fino all'epilogo dai contorni barbari e sanguinari. Particolarmente violenti i dettagli dell'agguato: il presidente, uscito solo ferito dalla sua casa, è stato nuovamente colpito e infine barbaramente seviziato e trucidato a colpi di machete.
Impossibile non collegare la morte del presidente con quella, avvenuta poche ore prima, del capo di stato maggiore Tagme Na Waie ucciso da una esplosione che ha praticamente distrutto il quartier generale dell'esercito.
Tutto lascia pensare a una rapida reazione di settori dell'esercito alla morte del loro generale.
Si conclude così la lotta personale tra due protagonisti violenti e assetati di potere, una contesa privata scellerata che ha gettato il paese in una condizione di povertà e incertezza.
«Non stiamo parlando di due Madre Teresa» è la sintesi di Frederick Forsyth intervistato dalla BBC. Lo scrittore britannico, in Guinea Bissau per effettuare delle ricerche per un romanzo, si trovava vicino alla casa del presidente.
Pochi giorni fa lo speaker del parlamento Raimundo Pereira ha preso la guida del paese (come chiede la costituzione) con il benestare degli alti vertici dell'esercito che ribadiscono di non voler interferire ( ! ) nella vita politica del paese.

Golpe al rallentatore in Madagascar
RajoelinaSolo 34 anni, ricco e spregiudicato ex disc jockey, Andry Rajoelina ha iniziato alla fine del 2008 a picconare il potere dell’ex presidente Marc Ravalonama, colpevole di non aver portato lo sviluppo promesso in campagna elettorale, svendendo il paese alle compagnie straniere e alle sue imprese personali.
E’ stato così relativamente facile portare la gente in piazza sperando nella reazione scomposta e violenta del rivale che non si è fatta attendere: gli scontri hanno lasciato sull'asfalto oltre 130 vittime. Poi di colpo l’esercito ha scelto di abbandonare il presidente e Rajoelina, con una accelerazione determinante, ha preso il controllo del parlamento (poi sospeso), dei media e delle istituzioni: i militari per il momento appoggiano il nuovo corso.
Va però sottolineata l'assenza o l'impotenza della comunità internazionale: poche voci, per lo più africane, si sono preoccupate della Guinea Bissau, un paese che anche grazie a questo isolamento è divenuto negli ultimi anni un crocevia di traffico di stupefacenti.
Una reazione più convinta invece nel caso del Madagascar: ufficialmente il coup è stato condannato da Unione Africana, la comunità degli stati del Sud (SADC) capitanata dal potente Sudafrica, per non parlare di ONU e della pesante presa di posizione degli USA che hanno sospeso tutti gli aiuti non umanitari al paese e hanno offerto protezione all'ex presidente.
In questo coro spicca l'assenza del solista: la Francia non sembra particolarmente ostile al cambio di regime: il commento del ministro degli esteri francese sul periodo (24 mesi) entro il quale Rajoelina intende indire nuove elezioni è stato: “too long”.


Fonti: France24, Nigrizia, Reuters
Foto: Reuters, Democracy Index
Vedi anche: http://majority-world.blogspot.com/2009/02/lisola-rossa-si-tinge-di-rosso.html

15 marzo 2009

Il nuovo corso della Somalia


Qualcosa si muove e finalmente sembra muoversi verso la giusta direzione. Sono molte le novità che negli ultimi mesi hanno interessato la Somalia che da 18 anni sembra non trovare pace. La Somalia era tornata tragicamente d’attualità agli inizi del 2006, per l’affermazione militare delle Corti Islamiche che in pochissimo tempo avevano conquistato gran parte del Paese compresa la capitale Mogadiscio.
Seguendo le ultime vicende del Paese verrebbe da dire che è arrivato lo scossone che si stava aspettando.
Nel novembre del 2008, dopo tre tornate di incontri, è stato siglato un accordo a Gibuti, , tra governo e opposizione islamica moderata, portando il Presidente Abdullahi Yusuf Ahmed a rassegnare le dimissioni il 29 dicembre. Yusuf era entrato in contrasto con il premier Nur Hassan Hussein, colpevole di avere fortemente voluto l’accordo che ha portato all’inclusione in Parlamento del movimento islamico moderato, l’Alleanza per la Ri-liberazione della Somalia (ARS), ed il ritiro delle truppe etiopi dal territorio somalo. Ritiro che per la verità non è ancora stato completato visto che l’Etiopia mantiene ancora la presenza militare nella regione di Haari, nonostante il ritiro delle truppe fosse previsto per gennaio. Il coinvolgimento politico dei gruppi islamici è un buon punto di svolta ma non dimentichiamo che gli eredi delle Corti islamiche non sono solo quelli dell’ARS ma anche i più radicali del gruppo Al-Shabab, che al momento rappresentano la parte di opposizione al governo meno controllabile.

Il 31 gennaio scorso il leader di una fazione moderata dell'Unione delle Corti Islamiche, Sharif Sheikh Ahmed, è stato eletto capo del governo federale di transizione (TFG). Sharif, leader dell'ARS, ha sconfitto il primo ministro Nur Hassan Hussein, appoggiato della comunità internazionale, ed il generale Maslah Mohamed Siad, figlio dell'ultimo presidente della Somalia Siad Barre.
Il Presidente Sheikh Sharif Ahmed, ha nominato il nuovo Primo Ministro, Omar Abdirashid Ali Sharmarke che ha ricevuto una larga approvazione del Parlamento somalo. Sharmarke, ex diplomatico, è un rappresentante del clan Darod proprio in rispetto della carta federale di transizione somala secondo cui il Presidente, il Primo Ministro ed il Presidente del Parlamento devono appartenere a tre clan dominanti diversi. Nel frattempo il nuovo governo somalo ha approvato l'instaurazione della sharia, la legge coranica, in seguito alle pressioni ricevute da parte di una delegazione di mediatori di Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e Sudan.
Gli Stati Uniti, tra uno scetticismo diffuso, stanno promuovendo presso l’ONU una risoluzione per il dispiegamento di una forza di pace in Somalia, che sostituisca l'attuale missione dell'Unione Africana Amisom. Tale risoluzione prevede anche un sollecito ai paesi africani ad aumentare l’attuale contingente presente nel paese, per portare agli 8000 uomini previsti i soli 2600 presenti al momento sul territorio.

Fonti: Nigrizia, Irin, APCOM
Foto: Alessandro Vincenzi - Somalia Bersaglio Innocente - MSF

8 marzo 2009

«They can eat it»

Forse sarà ricordato nei libri di storia: il mandato di cattura emesso contro il presidente del Sudan Omar al-Bashir per quanto sta accadendo da 6 anni nella regione del Darfur è un fatto senza precedenti.
La richiesta di arresto è stata presentata a luglio 2008 dal procuratore generale dell' International Criminal Court (ICC) Luis Moreno Ocampo ma solo pochi giorni fa, il 4 marzo, la corte si è pronunciata in senso favorevole.
L'ICC ha sede all'Aia ed è stata istituita nel 2002 con il cosiddetto Trattato di Roma a cui tutt'oggi aderiscono 108 stati, tra cui purtroppo non figurano alcuni "pezzi grossi" come Stati Uniti, Cina, India, Russia, Israele.
Le Nazioni Unite chiesero nel 2005 all'ICC di investigare sulla situazione in Darfur ed ora che si è giunti a questo primo risultato sarà nuovamente l'ONU a dover prendere delle decisioni diplomatiche ed operative.
Il Sudan vive praticamente in guerra "latente" da circa 30 anni: non si è neppure fatto in tempo a festeggiare la pace siglata nel 2005 tra il ribelli del Sud e il governo centrale che già si era aperto un altro durissimo fronte nella regione occidentale del Darfur.
Gli episodi documentati e contestati al presidente comprendono assassini, stupri, torture: crimini contro l'umanità compiuti non tanto dalle truppe regolari quando da milizie paramilitari messe in campo da Khartoum.
Le stime più accreditate parlano di almeno 300mila morti, 2 milioni e mezzo di profughi oltre alla distruzione di villaggi, pozzi e campi coltivati in una regione poverissima e in cui le condizioni di vita e ambientali sono già molto dure.
La reazione del governo di Khartoum non si è fatta attendere: ben 13 sono le organizzazioni internazionali a cui è stato immediatamente revocato il permesso ad operare nel paese. Tra queste ci sono alcune ONG di primo piano come Oxfam, Medici Senza Frontiere, Save The Children e molte altre che operano in Darfur in forma privata o su mandato ONU.
Si stima che in breve tempo oltre un milione di persone rischieranno di restare senza acqua e cibo mentre la mancanza di servizi sanitari di base riguarderà almeno un milione e mezzo di persone.
Anche la diplomazia internazionale ha reagito: purtroppo le grida più forti si sono levate contro la decisione dell'ICC, accusata da al-Bashir di neocolonialismo per interferire nella politica di una paese sovrano e per avere indirizzato le proprie indagini solo verso africani.
Cina, Iran, molti paesi africani e organizzazioni come l’Unione Africana e la Lega Araba si sono lamentate della decisione dell'ICC chiedendo quanto meno una sospensione della richiesta di arresto in modo da permettere il proseguimento dei colloqui di pace. Al contrario il resto della comunità internazionale non è stato altrettanto pronto e deciso dimostrando ancora una volta paura e divisione di fronte alle questioni di salvaguardia dei diritti umani e della difesa del diritto internazionale.
Al di là delle reazioni diplomatiche, molti commentatori internazionali hanno sottolineato che l'atto d'accusa dell'ICC, pur essendo corretto nella forma, è sbagliato nei tempi e nelle modalità, in quanto rischia di complicare una situazione già di molto compromessa. Difficile immaginare l'effettiva cattura del leader sudanese, ma occorre comunque sottolineare che questa incriminazione costituisce un unicum nel diritto internazionale che potrebbe aprire nuovi scenari in contesti tradizionalmente difficili: al-Bashir è infatti un leder politico di primissimo piano, nel pieno dei suoi poteri, una figura certamente diversa (anche se forse non meno colpevole) di "colleghi" obiettivamente poco difendibili e già accusati in passato dall'ICC.
Tra questi ad esempio troviamo Charles Taylor, ex presidente della Liberia (arrestato nel 2006), il leader politico-militare della R.D.Congo Jean-Pierre Bemba (arrestato nel 2008) o ancora il famigerato e sanguinario Joseph Kony, comandante dell'LRA nel nord Uganda e tuttora in libertà.

In questi giorni nel frattempo proseguono i bagni di folla di al-Bashir: in uno degli ultimi comizi ha affermato che il mandato di arresto per lui non ha valore e che coloro che lo hanno scritto "se lo possono anche mangiare".


Fonti: ICC, Nigrizia, France24
Vedi anche: African Arguments

2 marzo 2009

Il FESPACO compie 40 anni


40° compleanno per il FESPACO, il Festival Internazionale di Cinema di Ouagadougou, la più grande e più importante rassegna di cinema in Africa.
FESPACO (che ha cadenza biennale e significa Festival panafricain du cinéma et de la télévision de Ouagadougou) si concluderà l'8 marzo e presenterà lungometraggi, corti e documentari provenienti da diversi paesi Africani tra cui Algeria, Cameroun, Etiopia, Guinea, Niger, Egitto, Marocco, Mozambico, Sudafrica, Zimbabwe e altri ancora, oltre ovviamente al Burkina Faso.
Il festival ha inoltre un respiro internazionale e sono presenti anche opere da tutto il mondo: spesso artisti di origine africana trovano più facilmente sbocco all'estero sia in termini di finanziamenti e opportunità tecniche che per quanto riguarda le occasioni di confronto con il pubblico.
Un caso recente, ad esempio, è quello di Teza di Hale Gerima, una coproduzione Etiopia-Francia-Germania, recentemente premiato dalla giuria di Venezia ed ora in gara al FESPACO.
Presenti 128 opere e numerose altre fuori concorso per un totale di oltre 300 pellicole in un festival che, secondo le parole del direttore Michel Ouedraogo, in questa occasione vuole fare le cose in grande, come accade in manifestazioni cinematografiche più ricche ma non per necessariamente più blasonate.

Questa è la prima edizione dopo la scomparsa di Sembène Ousmane, uno dei fondatori del FESPACO, morto nel giugno del 2007, che verrà ricordato con una speciale retrospettiva.
Ci sarà anche un omaggio a Sotigui Kouyaté, 73 anni, premiato poche settimane fa come miglior attore con l'Orso d'Argento all'ultimo Festival di Berlino per London River, del franco-algerino Rachid Bouchareb.
Infine un piccolo spazio anche per l'Italia, presente fuori concorso con due opere: Amour, Sexe et Mobylette (in realtà una produzione francese per la regia di Maria Silvia Bazzoli e Christian Lelong) e Come un uomo sulla terra di Andrea Segre.
Il primo è un film-documento ambientato in una piccola cittadina del Burkina Faso durante i giorni che precedono la festa di San Valentino.
Il secondo è un vero e proprio reportage sulla condizione dei migranti che, provenienti da ogni parte d'Africa, attraversano il territorio Libico nella speranza di raggiungere l'Italia e l'Europa.
Alla proiezione saranno presenti il regista Andrea Segre e il giornalista Gabriele Del Grande, curatore dell'osservatorio sulle vittime dei fenomeni migratori Fortress Europe.

Fonti: FESPACO