10 maggio 2009

Eritrea da record (ma non in atletica)

Eritrea_assetataQualsiasi ricercato sa che durante la latitanza occorre sceglier bene i propri amici. A questa semplice regola non sfugge il comportamento di Omar al-Bashir, presidente del Sudan, nei confronti del quale è stato emesso un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità. Il fatto ha suscitato polemiche e commenti tra esperti di politica e di relazioni internazionali e le diplomazie di mezzo mondo si sono divise invocando ragioni di coerenza o di real politik. Un conto però è esprimere vaghe affermazioni e dichiarazioni di principio e un altro è accogliere il ricercato come un eroe nel proprio paese.
È quanto è accaduto il 30 marzo scorso ad Asmara, in Eritrea, dove il presidente Isaiah Afewerki ha ricevuto con tutti gli onori il suo omologo sudanese.
Per la verità al-Bashir era già stato ospite di Mubarak in Egitto pochi giorni prima (il 25 marzo) ma con toni differenti, anche dovuti al diverso status politico dell'Egitto.
Essere tra i primi ad accogliere il presidente sudanese è solo uno dei tristi primati dell’Eritrea: l’ultimo “record” raggiunto è la possibilità di fregiarsi del titolo di prigione più grande del mondo. È questa l’espressione usata da Human Rights Watch nel rapporto pubblicato il 16 aprile ad indicare come la repressione e il controllo dell’esercito e della polizia renda di fatto l’intera Eritrea un enorme carcere a cielo aperto.

30 anni di guerra contro la vicina Etiopia, la pace faticosamente raggiunta nel 1993 buttata via dopo solo 5 anni quando riprende il conflitto che in soli due anni porta 100mila vittime. Ufficialmente i due paesi combattono per una disputa territoriale di scarsa importanza, in realtà una chiave di lettura del conflitto è costituita dal predominio sulla regione e dall'accesso al mare che attualmente pone l'Etiopia in condizione di sofferenza. Nonostante nel 2002 la commissione costituita dall'ONU e dall'Unione Africana abbia sostanzialmente riconosciuto le ragioni dell'Etiopia, quest'ultima non ha accettato pienamente l'arbitrato e quindi la tensione tra i due paesi è rimasta altissima.
Questa situazione serve però ad Afewerki per mantenere il paese schiacciato da esercito e polizia. Uomini e donne sono costretti a un servizio militare obbligatorio della durata ufficiale di 18 mesi ma che spesso si protrae per molto di più, in condizioni durissime e per una paga misera. Disertare o evitare la coscrizione non è possibile e non rimane che l’esilio (i rifugiati eritrei sono tra i più numerosi al mondo) ma anche questo non è per nulla facile a causa dei durissimi controlli. Per di più chi riesce a scappare in altri paesi africani o in Europa rischia spesso di essere rimpatriato forzatamente. I metodi di repressione e di controllo comprendono torture, detenzioni illegali, vendette sui famigliari dei disertori.
In politica estera, l’Eritrea è isolata anche a causa di interferenze militari indirette portate avanti nei confronti dei paesi vicini. Dispute territoriali (o, meglio, marittime) anche con Gibuti, ad esempio. È inoltre chiaro il coinvolgimento di Asmara nel sostegno all’Unione delle Corti Islamiche salite al potere in Somalia nel 2006, un'azione politica che la contrappone all'Ethiopia, che è invece ha sostenuto il governo federale somalo attualmente in carica.

Anche se il rapporto di HRW è indirizzato alle più importanti istituzioni internazionali, non si vedono nel breve periodo vie d'uscita all'attuale situazione di stallo. Ma la regione del Corno d'Africa è certamente – molto più che in passato – presente nell'agenda delle cancellerie di tutto il mondo.

Fonti: Human Rights Watch, Nigrizia

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